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Nella mattinata dell’11 marzo, la stazione Termini di Roma è stata teatro di un audace blitz femminista condotto da quattro giovani attiviste del movimento “Bruciamo tutto”, mirato a denunciare e combattere il sistema di dominio patriarcale. Entrate nella galleria commerciale dello scalo, le donne hanno attivato gli allarmi, imbrattato la stazione con vernice colorata, e appeso uno striscione con il loro grido di battaglia, creando momenti di tensione tra i viaggiatori presenti.

L’azione di protesta non è isolata; segue infatti episodi simili verificatisi nei giorni precedenti all’Università La Sapienza e in Campidoglio, dove le attiviste avevano interrotto eventi con finalità di sensibilizzazione sulle tematiche di genere. Questa serie di blitz riflette una strategia ben definita di disobbedienza civile nonviolenta, voluta per scuotere l’opinione pubblica e richiamare l’attenzione sulle discriminazioni e le violenze subite dalle donne.
“Bruciamo tutto” emerge quindi come un movimento che, attraverso gesti eclatanti e simbolici, vuole incitare alla riflessione su un cambiamento sociale e politico radicale, chiedendo al governo misure concrete come un “reddito di liberazione” per le vittime di violenza domestica. Il loro obiettivo è chiaro: costruire un mondo libero dall’oppressione di genere, dove ogni individuo possa vivere in maniera autodeterminata e felice.
Con il loro atto di protesta a Termini, le attiviste di “Bruciamo tutto” non solo hanno espresso il loro inarrestabile desiderio di giustizia e parità, ma hanno anche messo in evidenza l’urgenza di ascoltare e rispondere alle richieste di chi lotta quotidianamente contro le strutture di potere oppressive.

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