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La morte del figlio quattordicenne Romano sulla pista da slittino della Croda Rossa, a Sesto Pusteria, nel 2012 ha segnato profondamente la vita di Claudio Campiti, autore oggi a Roma dell’omicidio di tre donne e del ferimento di altre quattro persone. Il padre della vittima è sempre stato presente durante tutto l’iter giudiziario, era profondamente convinto che la pista fosse pericolosa e doveva essere off limits per un ragazzo senza alcuna esperienza di slitta.

Nel 2017 la Corte d’Appello di Bolzano confermò la sentenza di primo grado, condannando quindi a un anno e tre mesi di reclusione, il maestro di sci Alessio Talamini, il direttore del centro sciistico di Sesto-Croda Mark Winkler e l’addetto alla sicurezza Rudolf Egarter. Il tribunale di Bolzano, in precedenza, aveva fissato un risarcimento di 240.000 euro per la famiglia. Spesso Campiti si rivolgeva con lettere e mail alla stampa locale per riportare l’attenzione sul caso di suo figlio oppure per intervenire in occasione di incidenti simili.
“Non vorrei cadere nel banale ma è così: mi alzo la mattina e c’è Romano; vado a letto la sera e c’è di nuovo lui”, confessò Claudio Campiti nel 2016 al quotidiano Alto Adige. “Può sembrare assurdo – proseguì – ma oggi mio figlio è più presente nella mia vita di prima. Penso a quello che avrebbe potuto fare, se – dopo quel tragico incidente – non fosse diventato un ricordo”. Voleva dar vita ad una Fondazione intitolata a Romano, raccontò anche in quell’intervista.


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