0

C’è un gruppo di donne musulmane in pellegrinaggio al monastero greco-ortodosso di San Giorgio che domina Būyūkada. La più grande delle nove isole dei Principi, nel mar di Marmara. E ci sono i pellegrini musulmani in visita al Monastero di San Giorgio. Un santuario cristiano conosciuto per la sua miracolosa icona, accolti a braccia aperte dai monaci greco-ortodossi.
Altri fedeli devoti all’Islam visitano la cripta della Basilica della Natività a Betlemme, al centro, come molte chiese mariane del Mediterraneo, di pellegrinaggio da parte dei musulmani. D’altra parte, menzionata più spesso nel Corano, dove figura ben 34 volte, a fronte delle 19 nel Nuovo Testamento, Maria incarna un modello di perfezione femminile. Come madre del profeta Gesù.

Donna cristiana nella galleria dell’École française de Rome

Una donna cristiana etiope, nel cuore di Hebron (Palestina), prega con la fronte appoggiata al muro del cenotafio di Rebecca nella Moschea della Grotta dei Patriarchi. Santuario diviso nel 1967 in due aree: una per i musulmani, l’altra per gli ebrei.
Un dialogo a colori, nel segno dell’antropologia, prende vita fino al 19 gennaio nella galleria dell’École française de Rome, in piazza Navona. Qui uno studiato allestimento di 35 fotografie accompagnate da video e panelli informativi, regala al pubblico un viaggio interreligioso tra gli intrecci intessuti dal mar Mediterraneo. Un mare che unisce, fatto di ponti più che di barriere, e dove le religioni possono rappresentare un ideale luogo di incontro. Invitando tutti gli ospiti a compiere un passo di lato, il percorso è a cura dell’antropologo Dionigi Albera e dell’antropologo e fotografo Manoël Pénicaud.

Arte e fede

Un percorso che tesse un pellegrinaggio per immagini intorno a un Mediterraneo plurale, esortando a muoversi da un luogo sacro all’altro. Scandita in quattro sezioni – Santi e profetiMaria cristianaMaria musulmanaArchitettureAttori e mediatorila mostra smentisce il senso comune secondo il quale un santuario può essere abitato soltanto da una religione. Non è raro infatti che i fedeli attraversino temporaneamente i confini per pregare in luoghi che appartengono a un altro credo. Senza aspirare alla conversione, molti di loro sono alla ricerca di una grazia. Grazia che domandano spesso a figure sante comuni come Abramo, Maria, San Giorgio, i Sette Dormienti.
Capita così di incontrare, nella sinagoga di Ghriba, una donna ebrea e una musulmana in preghiera, a piedi nudi, fianco a fianco, davanti al muro orientale, in direzione di Gerusalemme. Indistinguibili l’una dall’altra, o alcune donne sufi in attesa di prostrarsi nella stanza di Maria, nei pressi di Efeso, dove si dice che la vergine abbia terminato i suoi giorni.
Dopo Marsiglia, il Museo del Bardo di Tunisi, e ancora Salonicco, Parigi, Marrakech, New York, Istanbul, Ankara. La mostra itinerante Luoghi Sacri Condivisi fa tappa a Roma con l’auspicio di ritornare nella capitale, magari allestita in uno dei tanti musei della città eterna.

La direttrice Brigitte Marin e quel desiderio da realizzare

“Sarebbe bello, magari nel 2025, anno santo, allestire questa mostra in uno dei musei di Roma. Quando il dialogo interreligioso sarà una tematica forte del prossimo giubileo” auspica la direttrice dell’École française de Rome, Brigitte Marin.
La mostra si ascrive nelle ambizioni dell’École française de Rome che, dal 1875, anno della sua fondazione, ha come missione fondamentale la ricerca e la formazione alla ricerca nei campi dell’archeologia. Ma anche della storia e delle altre scienze umane e sociali, dalla preistoria ai nostri giorni, diffondendo saperi nuovi a un pubblico vario. Costruiti sulla base di una tecnologia moderna.

“Le immagini – spiega Brigitte Marin – sono il prodotto di una ricerca aggiornata, attuale, fatta da indagini sul terreno e con metodi che fondano le nostre discipline, in questo caso l’etnografia e l’antropologia, volte a osservare i gesti, il comportamento delle persone, le parole, e a riportare con la fotografia questi contenuti attraverso una spiegazione che le contestualizzi e che consenta di capirne l’intera portata. Il pubblico viene così invitato a compiere un viaggio nel Mediterraneo, un pellegrinaggio alla scoperta di gesti e di pratiche che sono familiari e al tempo stesso non lo sono, vissuti da fedeli di altre religioni”.

Allestimento concepito per la mostra romana

Il titolo della mostra, in francese Lieux saints partagés, invita a soffermarsi sul doppio significato di “partagés”, che allude alla divisione e alle condivisione al tempo stesso. Esortando a cogliere quelle pratiche di coesistenza e prossimità che si esprimono nella ricerca della grazia. Concepito appositamente per la mostra romana, l’allestimento, che nelle sue diverse tappe ha presentato differenti varianti, non trascura l’Italia. Anzi viene contestualizzato compiendo un affondo su alcuni elementi in grado di parlare maggiormente al pubblico italiano.
Così raggiungiamo Lampedusa, isola rimasta deserta per diversi secoli, e dove, almeno in certi periodi, l’unica presenza umana era quella di un eremita cristiano. Custode di una piccola cappella dedicata alla Vergine, comprendente anche la tomba di un santo musulmano. I marinai turchi ed europei che si fermavano sull’isola per rifornirsi di acqua e cibo visitavano il santuario lasciando offerte. Negli anni Quaranta del XIX secolo, quando l’isola fu colonizzata dal Regno delle due Sicilie, la parte musulmana della cappella fu distrutta. Il santuario fu più volte restaurato, ma ancora oggi la memoria del doppio culto sopravvive sull’isola.

 


Via Cristoforo Colombo, al via intervento di messa in sicurezza di tutti i pini nel tratto del Municipio VIII

Previous article

A Villa Borghese gli allenamenti per la RomaOstia Half Marathon

Next article

You may also like

Comments

Comments are closed.

More in Arte