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Scuderie del Quirinale. Storie documentate spesso da diari che per la prima volta arrivano all’attenzione del grande pubblico con una bella mostra dai tanti piani di lettura dal 16 dicembre al 10 aprile alle Scuderie del Quirinale. Arte protetta e nascosta, trafugata e poi liberata da uomini e donne che viaggiando a fari spenti nella notte hanno dedicato la loro vita a questa missione.

La storia

‘Arte Liberata. 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra’ si apre con la grazia splendente del Discobolo Lancellotti che Hitler volle a Monaco, acquistandolo per cinque milioni di lire nonostante il veto della soprintendenza italiana che cedette alle sue richieste. E si chiude con la Danae di Tiziano Vecellio che Goering volle sul suo letto in un palazzo che poi distrusse e rocambolescamente si salvò. Mentre non si salvò la biblioteca degli ebrei che, a causa delle leggi razziali, fu oggetto di razzia tedesca nel 1943, perché non trovò la protezione dello Stato italiano che ebbero invece le altre opere.

Tutto inizia nel 1939, quando l’allora ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai realizzò il piano di messa in sicurezza del patrimonio culturale, stilando tre liste: quella dei capolavori, quella delle opere di serie b e quelle da lasciare indietro non potendo portare in salvo tutto. Il dilemma, come spiegano bene i curatori della mostra Luigi Gallo e Raffaella Morselli, fu proprio quello di scegliere cosa doveva essere salvato e cosa doveva rimanere indietro, in un complesso intreccio anche di rapporti tra i soprintendenti italiani e il Vaticano, e l’individuazione e la messa in sicurezza dei beni culturali nel Lazio, in Toscana, a Napoli, in Emilia e nel Nord Italia.
In mezzo a questo dramma di follia tante storie ricostruite attraverso documenti d’epoca, foto, strepitosi filmati dell’Istituto Luce, tra cui nomi celebri e meno celebri: da Giulio Carlo Argan a Palma Bucarelli, da Emilio Lavagnino a Vincenzo Moschini, da Fernanda Wittgens a Noemi Gabrielli, e ancora Aldo de Rinaldis, Bruno Molajoli, Francesco Arcangeli, Jole Bovio.


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