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La musica da filodiffusione per lungo tempo non è stata considerata rilevante quanto le colonne sonore cinematografiche. Per questo , il nome di Giuliano Sorgini, Maestro nella Rai degli anni d’oro può non essere familiare.

Per quasi tutta la sua vita Sorgini ha evitato la Roma dei salotti di Cinecittà o la Prati mondana di Viale Mazzini. Scegliendo una vita dedita al lavoro e alla musica, sonorizzando non solo progetti Rai, ma anche film sperimentali low budget e B-movies. Una tendenza di restare i margini della scena consacrata definitivamente nel 1996. In questo periodo il Maestro decide di isolarsi nelle campagne fuori Roma, ritirandosi completamente dalla scena. Negli stessi anni, però, sull’asse Giappone-Italia-Inghilterra, l’esplosione della retromania per la library music italiana. Prodotta tra la seconda metà dei ’60 e la fine dei ’70, riporta a galla una serie di artisti di nicchia del periodo, tra cui Sorgini. Ai tempi era rimasto oscurato dalla fama dei grandi compositori di quegli anni come Morricone o Piovani. La vita ritirata ha però contribuito a creare il mito di Sorgini tra i collezionisti e i retromaniaci. Lungo la sua carriera, infatti, il compositore raramente ha rilasciato interviste, lasciando alimentare attorno a sé una serie leggende. Noi siamo però riusciti a raggiungerlo, non senza qualche difficoltà. «Ho un po’ nostalgia della Roma di quegli anni, era una Roma limpida. Trastevere non era come oggi, era verace, c’era il popolo, la gente, le persone: c’era l’amore. Io mi reputo fortunato ad aver avuto la mia gioventù in un periodo dove c’era la libertà, la generosità, la spontaneità. Andavi a Piazza Trilussa e le persone ti chiedevano di prendere un caffè insieme, senza nemmeno conoscerti. Son felice di avere vissuto in un periodo così schietto».

Giuliano Sorgini e l’Italia in bianco e nero

Da un lato ritroviamo “l’Italia in bianco e nero”, in cui il ’68 non è ancora stato assorbito dal tessuto sociale popolare, ma che allo stesso tempo mantiene un senso di comunità, di mutuo soccorso tra le persone. Dall’altro, la politica extraparlamentare che si fa largo nelle manifestazioni della città. I Rioni non sono mai stati così caldi: dal rogo di Primavalle all’uccisione di Mikis Mantakas a Prati. Gli anni di piombo sono ancora oggi dall’opinione pubblica ricordati con dolore, come uno dei periodi più bui per l’Italia del Novecento. Torino, Bologna e Milano erano il fulcro delle proteste, ma Roma la culla della politica che le alimentava. Ed è proprio in questo clima dicotomico che il compositore sognava mete lontane e animali esotici attraverso synth, organi, percussioni ed archi, all’interno di uno studio di registrazione a pochi passi dagli scontri.


Sabina Guzzanti e Giorgio Tirabassi, “Le verdi colline dell’Africa”

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