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Termina oggi 20 novembre, con l’esecuzione musicale di Einstein on the Beach proposta dall’ensemble Ictus insieme a Collegium Vocale Gent e Suzanne Vega all’Auditorium Parco della Musica (grazie alla corealizzazione con Musica per Roma), la trentasettesima edizione del Romaeuropa.

Avviato l’8 settembre, il festival presieduto da Guido Fabiani con la Direzione Generale e artistica di Fabrizio Grifasi, ha proposto oltre 79 progetti per 173 repliche in più di due mesi di programmazione totalizzando oltre 40.000 presenze complessive per un incasso di oltre 700 mila euro. “Siamo molto felici di questi risultati che ci riportano ad una situazione di normalità dopo i due anni di limitazioni dovute alla crisi pandemica -afferma Fabrizio Grifasi -. Abbiamo mantenuto con successo la promessa di portare al pubblico spettacoli che difficilmente si vedrebbero a Roma come ha dimostrato l'”Opera da Tre Soldi” presentata dalla storica compagnia del Berliner Ensemble con la regia di Barrie Kosky, tra i più importanti registi d’opera internazionali”. Prosegue Guido Fabiani: “Ci siamo chiesti come immaginare un futuro possibile costruito sul dialogo e il confronto culturale in opposizione netta e determinata a ogni forma di guerra, di aggressione, di atrocità in Europa e ovunque nel mondo, rivendicando la centralità umana con la sua unicità nel saper creare e immaginare. Una sfida vinta non solo attraverso gli spettacoli presentati ma anche attraverso segni di un fare concreto come la prima collaborazione con UNHCR o il progetto REFEco Friendly”. Ultimo appuntamento con il Romaeuropa Festival 2022 oggi a partire dalle ore 17 nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica dove l’ensemble ICTUS insieme a Collegium Vocale Gent e l’icona della musica folk Suzanne Vega eseguirà in forma musicale il capolavoro di Philip Glass Einstein on the Beach. Duecento minuti di happening durante i quali le porte della sala rimarranno aperte consentendo al pubblico di entrare e uscire liberamente e di disegnare il proprio personale tempo e spazio di ascolto.

“Presentiamo un approccio musicale puro all’intera partitura della leggendaria opera Glass/Wilson in cui le parti strumentali e canore virtuose e la struttura cristallina del pezzo sono esaltate da un approccio site-specific e da un sofisticato sound design – racconta l’ensemble Ictus -. Il fulcro di questa produzione è la partitura musicale stessa e il suono musicale del libretto. Optiamo per un’esibizione di lunga durata (molto vicina alla partitura completa composta per l’opera vera e propria). In questo modo vogliamo creare un bagno sonoro minimalista di oltre 3 ore di durata che si ricollega alla freschezza e alla radicalità del primo minimalismo. Le porte della sala da concerto saranno aperte per tutta la sua durata (il pubblico è libero di entrare e uscire), il divario tra palcoscenico e pubblico si offusca grazie all’intervento visivo di Germaine Kruip per essere visto come un’installazione di arte contemporanea”. Einstein on the Beach viene presentato per la prima volta nel 1976 nella sua versione originale da Philip Glass e Bob Wilson, coautore e regista, lo stesso anno di “Music for Eighteen Musicians” di Steve Reich: con questi due capolavori il minimalismo americano esce finalmente dall’ombra della scena underground per incontrare improvvisamente un vasto pubblico.

Christopher Knowles

Il lavoro si discosta notevolmente dalla concezione tradizionale di opera: non prevede ruoli cantati o una trama lineare – il libretto è piuttosto composto da frammenti di testi firmati principalmente da Christopher Knowles, un giovane autistico che Wilson (che all’epoca lavorava ancora come assistente sociale) aveva in carico. A questo si aggiungono i testi di due collaboratori dello spettacolo, l’attore Samuel Johnson e la danzatrice-coreografa Lucinda Childs. Il coro intona per tutta la parte testuale, serie di numeri o nomi di note, consentendo all’ascoltatore di concentrare la propria attenzione sugli schemi ritmici e sul contenuto armonico della musica. Un tipo di opera, dunque, mai visto fino ad allora: non narrativa, statica, basata su immagini e testi associativi e un dispiegamento quasi rituale in cui il minimo movimento è coreografato con precisione chirurgica.

 


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